


Tendenza al dolce, di particolare sapidità, tenero e piacevole al gusto.

Le condizioni ambientali della zona di produzione dei fagioli sono tipicamente montano-mediterranee.
I terreni idonei alla coltivazione, situati al di sopra dei 600 m. s.l.m., sono di origine alluvionale, prevalentemente sabbiosi limo-argillosi, freschi, profondi e fertili con una buona capacità di ritenzione idrica, privi di calcare, con reazione neutra e sub-acida.
Le precipitazioni nell’area di produzione si mantengono attorno agli 800 mm. annui, concentrate nel periodo compreso tra ottobre e maggio.
Le temperature presentano una notevole escursione nel corso delle stagioni, caratterizzate da estati fresche (con temperature medie di 20° C) minime nei mesi di gennaio e febbraio tra -5° e -6° C.
Le condizioni pedoclimatiche della zona di produzione conferiscono ai fagioli proprietà importanti: alto contenuto di zuccheri, minor contenuto in amido quindi maggiore digeribilità.
La semplicità di preparazione grazie alla cottura “a prima acqua“ senza la rottura della buccia, oltre alla particolare sapidità, contribuiscono a renderlo particolarmente graditi alle massaie ed al gourmet più esigente.
Rappresentano l’esempio più alto della biodiversità per le variabili cromatiche ed organolettiche, che ogni ecotipo possiede: tutti coloratissimi e dagli impieghi variabili a secondo della consistenza e del sapore che ogni ecotipo esprime.
La forma è ovale o tondeggiante. Il Cannellino è di colore chiaro, che varia dal giallo pallido al bianco; i Borlotti hanno striature rosso vivo su fondo bianco sporco; anche neri, senape e marrone-rossiccio.

Cannellino e Borlotto preparazione del terreno:
• epoca: periodo aprile-maggio
• modalità: da eseguirsi con l’ausilio di trattrice dotata di monovomere o bivomere su ampie superfici e motocoltivatore su piccole aree ad una profondità compresa tra 30 e 50 cm, seguita da amminutamento delle zolle con frangizolle o fresa.
Semina
• quantità: 80-140 Kg/ha. Per Cannellino e Borlotto si deve usare un seme selezionato;
• epoca: scalare, dalla terza decade maggio fino a metà luglio;
• modalità: manualmente o con seminatrice meccanica, alla profondità di 4-7 cm;
• sesto d’impianto: a seconda del tipo di seminatrice adoperata, generalmente a file distanti da 50 a 70 cm e con i semi sulla fila a 7-8 cm. Ecotipi locali nani e rampicanti.
Distanza tra le file (cm) Distanza sulla fila (cm) Quantità di seme(kg/ha)
Nano 50 7-8 80-100
Rampicante
- a postarelle 80-90 80-90 7/8 semi/postarella
- a fila binata 70-90 5-6 60-70
- consociato con mais 60-70 25(fag)-25(mais) 60-70
- secco a postarelle 30 30 80-90
- con rete 100-120 8-10 70-80
Sostegni: pertiche di castagno, canne, rete, filo di ferro.
Concimazioni:
• naturali: letamazione con 40Q-500 q.li/ha
• chimiche: 40-50 kg di azoto, occasionalmente e solo in ambienti freddi, somministrandolo alla semina per ovviare alle difficoltà di assorbimento del "rizobium" nelle prime fasi di crescita delle piante.80-110 Kg/ha di perfosfato minerale in pre-semina e circa 100 Kg/ha di solfato di potassio in pre-semina.
Trattamenti. Tra i metodi difesa sono da privilegiare quelli agronomici attraverso:
• uso di seme non infetto;
• distruzione dei residui colturali infetti;
• rotazione delle superfici utilizzate.
I metodi chimici di difesa sono da evitare. In casi eccezionali si può intervenire con prodotti a base di rame e anticrittogamici per la concia dei semi.
Irrigazioni:
• interventi irrigui: ripetuti, strettamente variabili in funzione del fabbisogno della pianta e in relazione all’andamento climatico e alle caratteristiche di giacitura del terreno;
• sistemi di irrigazione: per aspersione , per scorrimento e raramente a goccia.
Diserbo:
• tipo: sarchiatura meccanica tra le file e manuale sulle file. Solo in casi di elevati inerbimenti si può intervenire con prodotti chimici autorizzati per il fagiolo.
Raccolta:
• verde: con il baccello verde senza filo con i semi in via di formazione;
• cerosa: con baccelli con striature e colorazione marcate ed evidenti, tipiche delle cultivar;
• secco: dopo il disseccamento della pianta e del baccello.
• metodi di raccolta: manuale.
Resa a maturità cerosa:
• Cannellino, 7-8 t/ha
• Borlotto 9-10 t/ha
• Ecotipi 4-5 t/ha
Resa del seme a maturità secca: in media 2,0-2,5 t/ha per il Borlotto e per il Cannellino e 1-1,5 t/ha per gli ecotipi locali.

I legumi e in particolare i fagioli sono tra gli alimenti più consumati al mondo. Nelle civiltà antiche assumevano addirittura aspetti simbolici, come per gli Egizi che consideravano i “Dolichos” (fagioli dall’occhio) come cibo sacro dei sacerdoti.
I Greci e i Romani lo consumavano abitualmente, pur non ritenendolo un cibo particolarmente prelibato. Virgilio (70 a.c.-19 a.c.) lo chiamava “vilem phaseulum” perchè lo si poteva trovare in abbondanza ed era consumato dalle classi meno abbienti.
Nel ricettario “De re coquinaria“ (L’arte culinaria) del III°/ IV° secolo d.c., quasi certamente ispirato alle ricette del gastronomo dell’ antica Roma, Marco Gavio Apicio (25 a.c.-37 d.c.), lo si ritrova negli antipasti, o abbinato a salse piccanti: “... i fagioli verdi e i ceci li servirai conditi di sale, cumino, olio e poco mosto cotto“; “Fagioli e ceci in altro modo: fritti in semplice salsa acida e pepe come antipasto. Lessati, preparata la scorza per i salumi, si servono in padella finocchio verde, pepe, salsa, poco mosto cotto invece di sale o semplicemente (cioè senza salumi)“ ( Libro quinto: I legumi ).
Nel medioevo divenne l’alimento principe per le classi povere, chiamato il “pane dei poveri“ grazie alla facilità della sua coltivazione e le notevoli proprietà nutritive: non potendo nutrirsi di carne si sfamavano con cereali e legumi, cioè pasta e fagioli: il piatto simbolo della gastronomia contadina.
Nei registri del Catasto conciario di Sarconi viene evidenziato come i fagioli fossero al coltura più diffusa, già a partire dalla prima metà del XVIII° secolo, anche se le prime testimonianze di questa pratica si riscontrano nei registri amministrativi dei Conventi Religiosi fin dal XVI° secolo.
Si trattava già dei fagioli americani, arrivati in Italia con Cristoforo Colombo (1451-1506) che li importò dalle terre oltreoceano. A cavallo tra 800 e 900 costituì, assieme al grano, un valido antidoto alla pellagra, quasi sconosciuta in Basilicata, ma molto diffusa nel nord Italia, dove le vittime di questo morbo decimarono la popolazione padana.
Dal luglio 1996 è diventato prodotto IGP.







