


Molto dolce, consistenza pastosa con acheni prevalentemente vuoti, ricettacolo quasi interamente riempito, giallo ambrato.

I fichi sono stati da sempre una notevole fonte di reddito ma anche alimento di base per le popolazioni locali in difficili periodi storici, grazie all’abbondanza degli stessi ed alla possibilità di conservarli per l’intero periodo dell’anno mediante l’essiccazione.
L’azione mitigatrice del mare, la barriera alle fredde correnti invernali provenienti da nord-est posta dalla catena degli Appennini, insieme alla buona fertilità del suolo e ad un ottimale regime pluviometrico rappresentano le ideali condizioni pedo-climatiche che hanno fatto sì che vi fosse una notevolissima diffusione della coltura nell’area considerata, cosa che ha caratterizzato sensibilmente il paesaggio rurale e permesso di definire il Cilento area vocata per la coltivazione del fico.
Questi elementi, uniti alla semplicità della coltivazione e al pieno adattamento della specie e della varietà all’ambiente pedo-climatico dell’area, contribuiscono a conferire, ai fichi essiccati cilentani quelle caratteristiche organolettiche (sapore, dolcezza, gusto prelibato e profumato) particolarmente apprezzate dai consumatori.
Inoltre, va posto giusto rilievo al fatto che la semplicità di coltivazione, la resistenza della pianta ad avversità fito-patologiche hanno permesso alla coltura di guadagnare le prime posizioni nell’indice di gradimento del coltivatore che ha così collocato questa pianta su tutta la propria azienda, in coltura specializzata o consociata.
Le tre tipologie poste in commercio hanno le seguenti caratteristiche:
- Fichi con buccia: colore uniforme da giallo chiaro a giallo;
- Fichi con buccia che abbiano subito un processo di cottura: colore uniforme da giallo ambrato a marrone;
- Fichi mondi: colore chiarissimo tendente al bianco

Come si coltivano.
Le modalità e tecniche di coltivazione riportate nel disciplinare sono quelle che da secoli vengono correntemente adottate nell’area in questione.
Esse sono elementi della tradizione e parte integrante della cultura contadina locale che da sempre conferiscono caratteri di originalità ai fichi secchi identificati con la denominazione di origine “Fico bianco del Cilento”.
La particolare resistenza delle piante alla siccità e ai vari agenti patogeni non impone prescrizioni particolari in merito alle tecniche di coltivazione.
I sesti e le distanze di impianto possono essere variabili, fermo restando che la densità d’impianto non potrà superare le 700 piante ad ettaro.
Nei nuovi impianti le piante vanno però inserite secondo una distribuzione geometrica che preveda la costituzione di filari paralleli tra loro e di interfilari che consentano il transito delle macchine agricole.
Le forme di allevamento sono quelle a vaso libero, in uso tradizionale nella zona, e quelle recentemente proposte dalla ricerca che richiamano il vaso cespugliato e la siepe.
La produzione unitaria massima di fichi freschi non deve essere superiore a 19 t/ha di coltura specializzata. Fermo restando detto limite, in caso di coltura non specializzata, la produzione massima per ettaro degli impianti promiscui dovrà essere rapportata alla effettiva superficie coperta dalle piante di fico.
La raccolta dei fichi con buccia va effettuata quando i fichi sono stramaturi, mentre i fichi da destinare all’essiccazione senza buccia possono essere raccolti a non completa maturazione. Il periodo di raccolta va da fine luglio a fine settembre.
E’ ammessa la tecnica della puntura dei frutti e dell’inoliazione che va effettuata con prodotti naturali.
Come si trasformano.
Il processo di essiccazione dei frutti riguarda esclusivamente i frutti interi, con o senza buccia, e deve avvenire con esposizione diretta al sole e/o con l’applicazione di tecniche coadiuvanti come la protezione dei frutti esposti al sole con tunnel in plastica con altezza minima di due metri e/o la bagnatura dei frutti in soluzione di acqua calda e sale al 2%.
Il prodotto, nelle varie tipologie commerciali sopra descritte, può essere posto in vendita anche dopo aver subìto trattamenti di cottura che ne imbruniscono la buccia.
Il processo di cottura dei frutti deve avvenire esclusivamente in forni ad aria calda.
E’ consentito l’impiego di eventuale farcitura con altri ingredienti, quali mandorle, noci, nocciole, semi di finocchietto, bucce di agrumi sempre che l’insieme non superi il 10% del totale del prodotto finito e che sia provata la provenienza di tali ingredienti esclusivamente dal territorio dell’area di produzione.
La farcitura va effettuata inserendo nei fichi essiccati, previa apertura longitudinale del frutto, gli ingredienti sopra descritti

Le prime notizie sulla pianta di fico (Ficus carica) risalgono ad epoca molto remota: già nella piramide di Gizah, eretta nel periodo compreso tra il 4.000 e il 1.500 a.C., è stata rappresentata la raccolta dei fichi.
Gli antichi egizi hanno lasciato nei propri sarcofagi le descrizioni delle tecniche di salatura ed essiccamento al sole, nonché dei metodi da seguire nella costruzione di appositi edifici per conservarli a lungo.
La fama dei fichi greci era tale da trovarne le tracce perfino nei banchetti dei re dell’Asia minore. Si racconta che Serse (518 a.c.-456 a.c.), dopo averli gustati, dichiarasse guerra agli Ateniesi promettendo a se stesso di non mangiarne più fino a quando non si fosse impadronito del paese che li produceva.
In Grecia, dove il fico era chiamato “sykon”, la produzione era talmente attiva che fu necessario costituire un’apposita classe dirigente per controllarne il commercio, denominata "siconfanti". Infatti la loro introduzione è da attribuire ai coloni greci che in queste aree avevano fondato diverse città a partire dal VI° secolo a. C.
In molti documenti appare evidente come il fico secco sia identificativo dell’area del Cilento. Essi sono stati da tempi remoti considerati beni di lusso o comunque voluttuari in quanto da sempre considerati vere e proprie leccornie, ricercatissimi da mercanti interessati a rifornire i mercati più ricchi del momento
Le piante di fico da millenni hanno caratterizzato il paesaggio campano ed in particolare del Cilento.
Autori dell’epoca romana e altri a seguire fino ai giorni nostri hanno decantato le caratteristiche dei prodotti agricoli del Cilento tra i quali i fichi essiccati.
L’attività di essiccazione dei fichi nel Cilento si è avvalsa, da secoli della stessa manodopera agricola impiegata nelle operazioni colturali e nella raccolta dei frutti dalla pianta. Si tratta di un processo produttivo elementare, una consuetudine che lega fortemente l’uomo alla zona e alle tradizioni tipiche locali.
Già Marco Porcio Catone detto il Censore (234 a.c.-149 a.c.) , e poi Marco Terenzio Varrone (116 a.c.-27 a.c.), raccontavano che i fichi essiccati erano comunemente utilizzati nel Cilento e nella Lucania come base alimentare della manodopera impiegata nei lavori dei campi. .
Nella metà del 1400 è documentata, nel "Quaterno doganale delle marine del Cilento” (1486), l’esistenza di una fiorente attività di produzione e commercializzazione di fichi secchi, avviati sui principali mercati italiani come alimento di pregio.
A partire dal XIX° secolo fiorirono nella zona vere e proprie aziende che, oltre a coltivare e produrre i fichi secchi, si ingegnarono per commercializzarli in Europa e negli Stati Uniti.
La raccolta dei fichi era affidata a mano d’opera femminile (le ficaiole) così come il loro confezionamento (le incollettatrici). Questa mansione permetteva alle donne di contribuire al bilancio famigliare pur con compensi assolutamente modesti, in funzione delle ore dedicate al lavoro.
Le giovani operaie nascondevano nelle confezioni dei bigliettini con i loro nomi e indirizzi, nella speranza che capitassero in mano a qualche “buon partito“ che le sposasse togliendole dalla miseria.
E’ facile capire come questa convivenza millenaria abbia condizionato fortemente la cultura locale, cosa che traspare dalla constatazione del ruolo principe svolto dalla pianta e dai frutti del fico, nelle espressioni idiomatiche, nelle storie, nelle fiabe ed in tutto ciò che è espressione dell’immaginario umano.
Nel marzo del 2006 ha ottenuto la certificazione DOP.







